sabato 27 dicembre 2014

Irlanda on the road, Dicembre 2014



Certo Dicembre non è il miglior periodo per visitare l'Irlanda, ma io amo i viaggi fuori stagione, immergermi nel clima vissuto dalla popolazione locale lontano dalle resse turistiche.
Anche questa volta parto da solo, un amico mi raggiungerà a Dublino al termine del mio giro per l'Irlanda.
In fase organizzativa devo subito escludere il completo giro dell'isola, a causa del poco tempo a disposizione, appena una settimana. Le tappe del mio tour saranno nell'ordine: Belfast, Londonderry, Sligo, Galway, Kilkenny e Dublino.
Volo Ryanair Bergamo/Dublino (80 eur a/r incluso zaino imbarcato in stiva). Da lunedì 8 dicembre (arrivo alle 12.00am) e ripartenza il lunedì successivo 15 dicembre (partenza ore 6.30am)
Noleggio auto dall'Italia tramite sito www.enoleggioauto.it (costo 90eur inclusa assicurazione che copre la franchigia). All'aeroporto dovrò aggiungere 30 euro in quanto andrò anche in Irlanda del Nord. Richiederò l'auto col pieno e la restituirò col pieno. Ho preso un auto diesel, ovviamente conviene. Il costo del gasolio (e della benzina) è inferiore all'Italia.
Tramite i siti booking.com e hostelworld.com prenoto gli ostelli per le prime notti e per le ultime due notti a Dublino.


































8 DICEMBRE: Belfast
Atterro in orario all'aeroporto di Dublino, lo zaino esce nel carrello dei bagagli ed è sempre una liberazione... da questo momento il mio viaggio può cominciare! Vado a ritirare l'auto. Il servizio di noleggio, prenotato dall'Italia, è fornito da Europcar. Lo sportello in aeroporto mi rimanda al di fuori dove mi attende una navetta che mi porterà al parcheggio in 5 minuti. Mi viene consegnata una discreta Mitsubishi Lancer. Per me è la prima esperienza di guida in un paese anglosassone... e un po di timore ovviamente c'era. Tuttavia, dopo un breve impacciato inizio, acquisto subito sicurezza pur mantenendo sempre, per tutto il viaggio, la dovuta prudenza. Ci sarà solo un'occasione, in una piccola strada di paese, in cui un gentile irlandese mi ricorderà a suon di clacson e lampi di abbagliante che stavo guidando nella parte sbagliata... piccola distrazione!
La prima tappa è il sito di origine preistorica di Newgrange (Brù na Boinne), che si trova sulla strada da Dublino a Belfast con una piccola deviazione a sinistra. Essendo fuori stagione partecipo al tour guidato insieme a sole altre 3 persone! Questo mi permette di godere appieno di questa meraviglia, una costruzione di circa 80 metri di diametro costruita a partire da circa 5000 mila anni fa da una piccola civiltà che si era stabilita in questa zona a ridosso del fiume Boyne. All'interno di questa struttura si trovano delle tombe a corridoio, ma la parte visitabile è la camera funeraria a cui si giunge dall'ingresso camminando per circa 20 metri in un corridoio stretto e basso. La guida, con un gioco di luci artificiali, ci mostra quello che succede puntualmente ogni anno al sorgere del sole al solstizio d'inverno. Un sottile fascio di luce che penetra da un'apertura sopra l'ingresso principale forma un disegno triangolare che termina esattamente con il vertice in fondo alla grotta. Incredibile. La possibilità di poter vedere dal vero questo fenomeno è riservato ad una lotteria che si tiene fra quanti si iscriveranno ogni anno per questo privilegio. Solo 50 persone possono partecipare (per via dell'esiguo spazio), e nel 2014 ci sono state circa 30mila richieste! Poi naturalmente bisogna sperare che ci sia il sole... e da queste parti non è per niente scontato!
Brù na Boynne
Mi rimetto in auto che ormai il sole è tramontato. Belfast non è lontana, arrivo in circa un'ora. L'ostello scelto dal sito hostelworld.com è il "Vagabond" (costo 18 sterline) una bella camerata mista da credo 14 posti con bagno interno. Ma stanotte saremo solo in quattro. L'ostello è molto carino, un piccolo disimpegno con divano, libreria e chitarra, poi soggiorno con sala pranzo e cucina. Doccia e poi via in giro per la città. Mi fermo subito al "The Crown Bar", un bellissimo e antichissimo pub. All'ingresso servono solo da bere, al piano di sopra invece servono anche da mangiare e quindi faccio subito le scale. Ottimo l'hamburger e il sapore della mia prima Guinness irlandese doc, davvero eccezionale. Bello anche sentirsi un "you are very onest" quando alla cassa dico alla signora che le pinte sono due e non una sola... Di li a poco sono in giro per la città, cartina in mano, verso i pub indicati dalla guida Lonely Planet. Purtroppo uno non lo trovo e il secondo è chiuso... E' un lunedì sera e si vede, non c'è molto movimento, mi affido quindi all'istinto e camminando in una stradina del centro sento musica dal vivo provenire da un pub, mi butto dentro e, un po stanco, ammazzo la serata con una Guinness, con un bravo chitarrista che tiene compagnia ai pochi avventori presenti. Rientrando in ostello incrocio uno, credo sui sessanta, bassino, brizzolato. Abbigliamento mio (da leggere tipo "abbigliamento di Filini" nel film di Fantozzi): jeans, maglietta, camicia, maglione, piumino invernale, sciarpa, cappello, mani in tasca e maledizioni contro il freddo. Abbigliamento del tipo incrociato: jeans, camicia a manica corta. Mentre ci incrociamo mi guarda e mi dice "hello". O forse mi rutta. Credo più la seconda. Ci sono momenti in cui capisci subito chi vince...  

9 DICEMBRE: Londonderry
Il risveglio avviene alle 8.00am, ma la luce fatica, ed il cielo è coperto.  
La colazione del "Vagabond", self service, è abbondante e buona ed è sempre inclusa nel prezzo. Farò in tempo a parlare col mio inglese un po scadente con Mike dall'Australia, che da lì proseguirà prima verso nord per poi proseguire in Scozia il suo viaggio.
Butto lo zaino in macchina e faccio un giretto di nuovo per la città che pian piano si avvia verso una normale giornata di dicembre, ma le mie buone intenzioni sono quasi subito interrotte dalle prime gocce di pioggia che mi colgono senza il mio kway. Mi avvio pertanto spedito verso la macchina per evitare di restare inzuppato. Prima di lasciare Belfast però voglio vedere i famosi murales di Falls Road, che ricordano i troubles e le lotte per i diritti civili. E' come camminare dentro la storia di questa terra che ha visto tante morti innocenti.
Lascio la città e mi dirigo verso le due maggiori attrattive dell'Irlanda del Nord, il ponte di corda a Carrick e la Giant Causeway. Scelgo di fare la strada interna passando da Antrim e non la strada costiera, ormai ho capito che d'inverno a causa delle poche ore di luce devo guadagnare più tempo possibile... Faccio una sosta a Ballycastle dove vedo finalmente l'oceano e mi gusto un'ottima zuppa di pomodoro al porto. A dieci minuti dal paese arrivo al Ponte di corda di Carrick-a-Rede, un ponte che fu costruito dai pescatori di salmoni e nel corso degli anni modificato per permettere il transito in piena sicurezza. Son quasi le 2 del pomeriggio e, in questo periodo, l'ultimo accesso al ponte è alle 15.30 (ticket 6 sterline). Il paesaggio che ho di fronte è meraviglioso. Una camminata su un sentiero disegnato lungo la scogliera a picco sul mare mi conduce in 10 minuti all'ingresso del ponte, dove c'è un controllore adibito anche alla sicurezza. Sul ponte possono infatti transitare al massimo 8 persone e immagino il casino durante l'estate... Oggi invece siamo appena in tre. E' emozionante camminare sulle tavole sopra il mare con le onde che si infrangono proprio sotto di me. Il ponte è molto stabile e conduce all'isolotto che nell'ultimo tratto è chiuso per manutenzione. Il rientro verso il parcheggio avviene sotto la pioggia che ha cominciato a battere forte, per fortuna stavolta ho il kway con me e mi salvo da inzupparmi il giubbotto. La prossima tappa è la famosa scogliera della Giant Causeway, costituita da rocce basaltiche di forma esagonale originate da un'antica eruzione vulcanica. Dal centro visitatori dove acquisto il biglietto (8 sterline) si accede alla navetta che ci porta direttamente alla scogliera. Diversamente si può anche andare a piedi per 10 minuti, ma il tempo e il buio ormai quasi arrivato mi suggeriscono di prendere la navetta. In realtà a causa della forte pioggia ero quasi scoraggiato ad uscire dalla mia auto e pensare di tornare il giorno dopo, ma in pochi minuti il tempo è cambiato e ha smesso di piovere. Lo scenario di fronte è incredibile, una scogliera sferzata dalle onde invernali dell'oceano e da un fortissimo vento che ti impedisce di stare in piedi. Devo muovermi molto lentamente per evitare di scivolare sulle lisce rocce bagnate. Assisto a un vero e proprio spettacolo della natura e mi sento un piccolo insignificante elemento.
Prendo l'ultima navetta (ore 16.30) e rientro al parcheggio. Dopo un ora di viaggio arrivo a Londonderry dove passerò la notte.
L'ostello prenotato dall'Italia è l'Hostel Connect, molto centrale, a due passi dalle mura della città vecchia. La camerata da 4 letti è tutta a mia disposizione (18 sterline). Il bagno fuori è ok. Il soggiorno sembra buono, vedo un paio di ragazzi che giocano con la playstation... Il gestore dell'ostello è gentilissimo e cartina alla mano mi spiega tutta la città inclusi locali e ristoranti. Stasera c'è Juventus-Atletico Madrid quindi gli chiedo dove sono i pub che trasmettono le partite. Lui me ne indica 5 o 6, ma in generale tutti fanno vedere il calcio... Peccato che quando esco mi accorgo che in ogni pub viene trasmesso solo il Liverpool e in qualche sporadica tv anche l'Arsenal o il ManCity, ovviamente della Juve non c'è traccia. Prima di arrendermi entro al Metro Bar, locale molto bello dentro le mura e chiedo se è possibile dedicare una tv delle dieci (!!!) per la Juve. Il ragazzo chiede al titolare e in 5 minuti vengo accontentato! Che bellezza... Dopo circa quindici minuti vengo però coinvolto dai ragazzi del posto che mi invitano al loro tavolo a bere una birra. Non posso rifiutare! E qui capisco che non capisco nulla... A Derry parlano proprio un inglese molto particolare... considerando il fatto che il mio livello d'inglese non è eccezionale... la percentuale di comprensione si aggirava intorno al 30% e avevo difficoltà a capire anche i nomi dei ragazzi... Ma la serata è molto bella anche se son costretto a guardarmi il Liverpool... Al termine della partita mi inviteranno a giocare a biliardo e infine in un altro locale dove si balla e si canta al karaoke. Insomma Derry mi ha fatto un'ottima impressione, una città piccola ma socievole e che si sa divertire.

10 DICEMBRE: Sligo
Veloce colazione in ostello e poi via alla scoperta del Bogside, il quartiere dal quale partì, nel gennaio del 1972,  la manifestazione per i diritti civili che portò alla tristemente famosa "Sunday bloody Sunday" cantata dagli U2. Erano i tempi bui dei "troubles" e l'esercito britannico fece di tutto per far terminare questa pacifica manifestazione in una tragedia, uccidendo 13 persone. Le pareti delle case del Bogside sono dipinte da murales che evocano non solo quella giornata ma altre scene di quel triste periodo, come ad esempio la ragazzina 14enne che fu la centesima vittima dei "troubles". L'emblema del quartiere resta comunque la scritta sulla parete di una piccola casa in mezzo alla strada che recita "you are now entering  to free Derry"
Naturalmente durante la mia camminata per il quartiere il tempo non mi da pace... 10 minuti di pioggia battente seguito da 10 minuti di sole e così via...
Lascio Derry e mi avvio alla scoperta della contea di Donegal. Punto verso l'alto in direzione della cittadina di Dunfanaghy con l'intenzione di raggiungere il promontorio di Horn Head. Quando arrivo quassù assisto all'ennesimo spettacolo della forza della natura. Si tratta di un balcone sull'oceano da una scogliera a picco sul mare. Il mare è agitato sferzato dal fortissimo vento che fischia e le cui raffiche muovono anche la mia auto. Non piove ma ancora per poco. Le nuvole stanno infatti scaricando proprio sul mare di fronte a me e si avvicinano. Faccio in tempo a salire in macchina prima di essere totalmente lavato! La giornata resterà sempre molto nuvolosa, il Donegal si presenta nei suoi colori di fine autunno con il color bruno delle piante che vincono sul verde dei prati. I paesi che attraverso sono meravigliosi, le vie principali presentano sempre i negozi di legno colorato. Mi fermo in uno di questi per un caffè, che cercherò di pagare in sterline scordandomi di essere di nuovo nella Repubblica d'Irlanda! Vorrei fermarmi di più, ma ormai so che se voglio vedere la prossima attrattiva con un po di luce devo sbrigarmi. Si tratta delle scogliere delle Slieve League, che pare siano tra le più alte d'Europa a picco sul mare. Raggiungerle non è immediato, arriverò solo alle 16.30 quando ormai è quasi buio. Anche qui il vento è pazzesco, devo andare lentissimo con la macchina che è continuamente colpita dalle raffiche in una strada strettissima! Arrivo in cima in solitaria ovviamente, giusto per affacciarmi cinque minuti sull'imponente gola dove le onde del mare agitato si frantumano sulle rocce lasciando il bianco della schiuma. L'oceano di fronte è immenso, guardo in lontananza, il sole è ormai tramontato da un pezzo e vedo solo cielo libero, nuvole gonfie di pioggia, acqua e terra. E sento il rumore fragoroso delle onde. E il rumore del vento.  Ancora una volta mi sento piccolo, molto piccolo di fronte alla potenza della natura.
Riparto verso sud, lascio il Donegal e arriverò a Sligo in serata.
L'ostello che mi ospita è il Railway Hostel (20 euro). Si tratta praticamente di una casa dove all'ultimo piano vive il padrone, sig. Paddy, e i primi due piani sono adibiti ad ostello. Piove anche stasera, a sprazzi naturalmente, e in giro per la città c'è una festa... natalizia! Un gruppo di 20-30 giovani vestiti con abiti natalizi si aggirano divertendosi di bar in bar. Io mi appoggio in un piccolo ma caratteristico pub del centro. A parte i ragazzini che fanno casino il resto è calma piatta e dopo un paio di ottime guinness rientro in ostello.

11 DICEMBRE: Galway
Oggi proseguirò verso sud attraverso le contee di Sligo e Mayo, fino al Connemara e giungere in serata a Galway. Anche oggi il tempo non è dei migliori, nuvolo e sprazzi di pioggia mi faranno compagnia per tutta la giornata. La prima destinazione che ho in mente è Achill Island, l'isola più grande dell'Irlanda occidentale unita alla terraferma da un piccolo ponte. Prima di arrivare faccio una sosta a Newport, piccolo centro della contea di Mayo. Il tanto di assaporare un caldo caffè americano in uno di quei bar di paese dai quali non vorresti mai andar via per l'atmosfera di tranquillità garantita dalle luci soffuse e dalla musica a basso volume. Se poi ci aggiungi il brutto tempo di fuori.... Ma l'idea di raggiungere l'isola è troppo forte, quindi saluto e mi incammino. Ci vorrà quasi un'ora per raggiungere questa piccola isola battuta dall'oceano aperto. Diverse sono le spiagge che diventano enormi per la presenza della bassa marea, con le onde che si infrangono lontanissime. Arrivo al piccolo paesino di Keel e mi affaccio all'omonima spiaggia. Sotto la pioggia e con poca luce il paesaggio si manifesta in tutta la sua naturalezza. Vorrei trattenermi e spingermi verso la punta, ma ho ancora tanta strada da fare per arrivare a Galway. Mi rimetto in cammino e arrivo alla città di Westport, attraversata dal fiume Carrowbeg. Vale la pena fare due passi a piedi in questo piccolo borgo della contea di Mayo. Ancora più a sud entro nel territorio del Connemara, i cui colori di tardo autunno la fanno da padrone.  Il paesaggio è selvaggio, sono circondato da piccoli laghi e piccole montagne avvolte dalle nubi. Seguo una piccola deviazione che mi porta a Cleggan, un minuscolo villaggio di pescatori, con un porticciolo che da sulla baia. L'oscurità è quasi giunta, sono circa le 17pm, vedo una piccola barca con la luce di bordo che naviga nella baia verso il largo. Chissà dove va. Lascio Cleggan e dopo circa 20 minuti mi fermo a Clifden, altro paesino della contea di Galway. Entro in un negozio alla ricerca della bandierina dell'Irlanda da attaccare allo zaino. La signora non perde tempo a chiedermi informazioni, di dove sono, ma soprattutto mi chiede il perchè... come mai sono in Irlanda a dicembre? Non so se capisce le mie motivazioni, ma mi dice che devo assolutamente tornare a maggio o settembre, quando la regione si mostra in tutta la sua bellezza. Credo proprio che lo farò insomma. Entro nel solito, accogliente bar per il mio caffè americano e seduto al mio tavolo prenoto il mio prossimo ostello a Galway. Trovo il Kinley House (15 euro), ostello centrale con ottimi giudizi. Naturalmente devo abbandonare l'idea iniziale di percorrere la strada costiera che doveva essere meravigliosa. Ormai è buio pesto e sarebbe inutile.
Alla reception la ragazza dell'ostello mi da tutte le indicazioni necessarie e soprattutto mi aiuta con il parcheggio dell'auto che a Galway, almeno in questa zona molto centrale, risulta carissimo (2 euro l'ora). Mi indica le zone delle strade adiacenti dove posso lasciare l'auto di notte gratis fino alle 8.30. L'ostello è forse il più bello di tutti quelli in cui son stato in Irlanda. Molto pulito, bagni molto grandi e puliti. Le camere spaziose. La saletta con divani, libri, internet, giochi, chitarra e altro è accogliente, colorata e con musica anche tardi, ad un volume decente senza dar fastidio alla zona notte. Davvero bello. Mollo tutto in camera, metto nella gabbia con lucchetto la mia fotocamera ed esco ovviamente col kway, perchè naturalmente piove... Galway è bellissima. Dopo aver mangiato un hamburger volante mi butto subito in un pub che suona musica irlandese dal vivo (Tig Coili). L'atmosfera è speciale, qualcosa che non ho mai visto prima. In un'angolino ci sono quattro o cinque irlandesi che suonano chitarra, fisarmonica, banjo, mandolino, flauto. Il tutto nel fragore degli avventori che bevono e chiacchierano ad alta voce. L'apoteosi arriva quando un personaggio sale su una sedia e canta una canzone tipica irlandese. Tutto il locale canta con lui e la festa è servita. Meraviglioso. Poi lascio il locale attraverso la strada ed entro in un altro. Anche qua il divertimento impazza. Ci sono 3 chitarristi che suonano musica dal vivo e il locale è strapieno, faccio fatica a trovare un posto in piedi appoggiato al muro. I ragazzi cantano, ballano, chiacchierano, bevono, gente di tutte le età. Vestiti in qualsiasi modo, nessuno si formalizza come avviene da noi in Italia. Spopolano naturalmente quelli "addobbati" con maglioni rossi natalizi, con babbinatale e renne, alcuni maglioni con le luminarie, ma anche ragazzi in tuta. Insomma si divertono e basta. Galway è una città vivissima, resterà la più divertente, insieme a Dublino.

12 DICEMBRE: Kilkenny
La colazione del Kilney è perfetta, trovo di tutto ed è molto buona. Faccio un giretto di un ora circa in città, ritrovo i locali della sera prima in fase di pulizia per prepararli alla nuova serata che arriva. Fa freddo e alcuni passaggi sono anche ghiacciati. Molto bella la zona lungo il fiume Corrib, in alcuni punti mi ricorda i navigli di Milano. Finalmente la giornata si presenta limpida! Riparto quindi di buona lena, è bello vedere un po di sole che scalda. Lascio la contea di Galway ed entro nella contea di Clare. Sarà l'effetto della luce e del sole, ma questa contea è proprio bella. Verdi colline e i famosi muretti si stagliano anche in lontananza. Oggi è un piacere guidare. La mia prima destinazione sono le famose Cliffs of Moher, caratteristiche scogliere a picco sull'oceano. Evito di fermarmi nei paesini per la paura che il sole mi abbandoni! Almeno queste voglio vederle senza pioggia! Inutile dire che nel frattempo, strada facendo, il sole sparisce, arriva qualche goccia, poi salendo in collina mi becco anche una grandinata e la temperatura scende fino a 2 gradi... ma non perdo la fiducia perchè laggiù, dove mi sto dirigendo il sole sembra splendere... E la fortuna stavolta mi premia e mi regala una splendida ora di passeggiata lungo le Cliffs of Moher (ticket 6 euro). Il parcheggio dove lascio la macchina è enorme, segno che d'estate deve essere una bolgia... Le scogliere si sviluppano ad arco e la visita parte da metà quindi si può decidere di andare prima a destra o a sinistra. Io mi dirigo a destra verso la torre O'Brien seguendo le larghe scaline. Dalla torre la vista è su tutte le scogliere meridionali ed è talmente alto che il rumore delle onde che sbattono la sotto fa fatica ad arrivare alle mie orecchie, disperso anche dal vento. Ma la parte della scogliera che apprezzo di più è quella sinistra. il sentiero inizialmente protetto si inerpica sull'altipiano sino a un punto in cui termina la protezione e ci sono dei tratti totalmente aperti a strapiombo giù per 200 metri. E' molto emozionante ma anche pericoloso, chissà come sarà d'estate con la marea di gente. Sicuramente con il vento fortissimo, che oggi non c'è, diventa davvero rischioso esporsi in un cammino lungo il margine... Da questa parte si vede la torre che diventa minuscola. Ammiro anche le isole Araan di fronte a me. Il panorama è fantastico e mi sento fortunato ad essere stato graziato almeno oggi dal maltempo!  Lascio le Cliffs e riparto con l'altra destinazione della giornata, cioè la penisola di Loop Head più a sud lunga la costa. Il cielo sereno o poco nuvoloso lascia che il sole splenda sull'oceano alla mia destra e i raggi rendono il verde a sinistra più acceso. Questa è l'Irlanda che immaginavo... La penisola è molto lunga ed è piacevole guidare sulle strade strette, dove incontro pochissime macchine. Quando arrivo finalmente a destinazione mi trovo di fronte l'enorme faro bianco, che purtroppo però è chiuso. Lo aggiro comunque sul versante destro dove c'è un sentiero sulla torba verde che porta in basso fino alla punta. Anche qui l'oceano sbatte sulle alte scogliere popolate da gabbiani. Il sole è tramontato ma c'è ancora luce. Mi trovo da solo quaggiù a qualche chilometro dal primo insediamento. In lontananza nuvoloni sulle terre più a sud scaricano abbondante acqua. Oggi non è il mio turno!
E' ora di muovermi, mi rimetto in auto e col navigatore punto la mia prossima destinazione, Kilkenny, e con sorpresa mi accorgo che è lontanissimo! Duecento chilometri e più di tre ore di distanza. Non avevo fatto bene i conti, pensavo sinceramente di essere più vicino. Mi avvio comunque, ripercorrendo a ritroso la penisola di Loop Head e attraverso le città di Ennis e Limerick. Nel frattempo mi fermo per prenotare il mio ostello di Kilkenny, trovo il MacGabhainns (21 euro), centrale e con posto auto in strada. Durante il viaggio la pioggia viene di nuovo a trovarmi, in certi tratti anche grandine, ma ormai ci sono abituato. In ostello lo staff mi spiega i dettagli dell'ostello. In camera trovo un ragazzo canadese, a letto, anche se sono le 8 di sera... Il tanto di una doccia ed esco all'aria aperta, alla ricerca di un pub per una birra. Ce ne sono diversi ma la città mi sembra un po spenta. Poca gente in giro e poca anche nei locali. In più sono provato dal viaggio, quindi stanotte non tardo a buttarmi a letto... intanto l'amico canadese lo trovo dove l'ho lasciato sempre sveglio che gioca con il tablet... mah! Durante la notte arrivano altri due in camera, chissà da dove...

13 DICEMBRE: Dublino
Son pronto per uscire alle 8.30 di mattina, la cucina dell'ostello è ancora chiusa quindi farò colazione fuori. Anche oggi mi sveglio col sole ed è l'ideale per fare una passeggiata in una Kilkenny che comincia a svegliarsi. Lascio la città e punto a nord verso Dublino. Finalmente una bella superstrada da percorrere liberamente e sotto il sole. Ampi spazi si aprano davanti e ai lati attraverso la contea di Kilkenny. L'ostello di Dublino prenotato dall'Italia è l'Isaac Hostel (15 euro a notte), a pochi passi da O'Connel Street. Prima però mi dirigo al centro Europcar per la consegna della macchina. Tutto è andato per il meglio, felice di aver provato l'emozione della guida all'inglese, ho fatto cadere anche questo tabù, mi sentirò libero di noleggiare auto in futuro in questa terra. Zaino in spalla mi avvio all'ostello dove nel frattempo mi ha raggiunto il mio amico Luca da Milano con cui passerò il weekend dublinese. Assolte le formalità dell'ostello, ci sistemiamo in una camerata da 8 letti totalmente completa. L'ostello è molto bello, sia fuori che dentro, all'ingresso ci sono diversi tavoli pieni di gente. Ci buttiamo subito alla scoperta della città, su O'Connell Street raggiungiamo l'altissimo obelisco a punta, in acciaio. Le strade sono assalite da dublinesi alla ricerca dei regali di Natale, e qualche turista come noi. Molti volontari si adoperano per richiedere soldi per i più poveri, con secchi alla mano per raccogliere le offerte, e spesso con canti e cori improvvisati di natale lungo la strada. Andiamo in avanscoperta e ci dirigiamo verso Temple Bar per mangiare qualcosa e troviamo il Quays dove assaporiamo un hamburger e un fish&chips con le prime due pinte di Guinness dublinesi. Il primo pub dove entriamo invece, dopo pranzo, e da cui non vorremmo mai più uscire è lo Stag's Head, sono appena le 16 ed è già pieno di gente. Troviamo un tavolino libero e subito le ordiniamo le nostre due pinte (5 euro l'una). La Guinness a Dublino è sicuramente la più cara, generalmente intorno ai 5 euro ma arriva a 6 euro nel pub Temple Bar. Nel quartiere popolare Liberty però la troveremo a 4.30 euro. Allo Stag's Head facciamo conversazione con una signora sulla sessantina venuta con le sue amiche a farsi la solita birra. Entusiasta dell'Italia, io le dico che sono entusiasta di Dublino, l'amica ha insegnato italiano a Pistoia. Ma ora dobbiamo andare, lasciamo alle signore il nostro tavolo, e la signora mi dice che parlo molto bene l'inglese. Io dico che ci stava a provà... Il clima di festa comincia a sentirsi, o forse è semplicemente la vita quotidiana. Le strade sono piene di gente e i locali pure. Seguendo i suggerimenti della Lonely planet cerchiamo il "No name bar" ma non lo troviamo... troviamo invece un altro pub, antico, ma anche se bello e pieno di gente c'è un odore di.... insomma c'è puzza quindi l'idea di stare la dentro ci passa subito. Ci dirigiamo quindi al Kehoe, pub su due piani. Fantastico. Al piano terra un lungo bancone, invaso dalla gente e dalle pinte. Troviamo solo uno spazietto, attaccati al muro con una tavola di legno dove appoggiare i nostri bicchieri. Saliamo sopra e stesso discorso, forse anche peggio, con una sala dove a fatica si capisce che ci son dei tavoli, ogni metro quadro è occupato da gente che chiacchiera e beve la sua birra, nell'altra sala c'è un altro bancone ed è qua che ci fermiamo, sempre in posizione precaria. Capita spesso di sorseggiare una birra con le spalle appoggiate alle spalle di un'altro. Rientriamo in ostello per lasciare la mia macchina fotografica, che verrà presa in custodia gratuitamente in portineria. Ceniamo del pollo fritto a un fast food e ci ributtiamo in centro. Inutile dire che i locali sono ancora più colmi di prima e facciamo ancora più fatica a trovare posto, naturalmente in piedi. In tutti i locali suonano musica dal vivo... chiudiamo la serata al Quays il pub dove avevamo pranzato, che sembra essere il più vivo anche per via dell'ottima live music a cura di due ottimi chitarristi e cantanti. Trovi gente che balla e canta anche fuori dai locali grazie ai cantanti di strada davvero molto bravi e coinvolgenti.

14 DICEMBRE: Dublino
Usciamo dall'ostello dopo una colazione non troppo soddisfacente, con l'idea di camminare per Dublino avvicinandoci alla fabbrica della Guinness. Dopo un po ci fermiamo in un bar per una bevanda calda e studiare il percorso. Sulla via per la fabbrica c'è la cattedrale di S.Patrick, quindi ci dirigiamo da quelle parti, giusto per vederla. Li vicino c'è un negozio che vende un po di tutto, ha l'insegna blu e si chiama Bohemia. Mi piace e gli scatto una foto. Mi giro e faccio per proseguire, quando sento una voce che sembra richiamare la mia attenzione. E' una signora, mi giro e vedo che dal negozio viene verso di me. Io, tra me e me, penso che voglia soldi o spiegazioni sulla foto che ho scattato. "Mi fai vedere la foto che hai scattato?" mi dice... Io gliela faccio vedere, lei sorride e mi dice che è bellissima e se per favore gliela posso spedire. Sorrido anche io e le dico che sì, certo, di darmi l'indirizzo email. Ma lei dice che non ha la mail, di spedirgliela per posta e mi da l'indirizzo. Mi dice anche che tutte le persone promettono sempre che invieranno la foto, ma poi non lo fanno mai. Io le prometto invece che lo farò e la saluto ringraziandola. Già perchè sono queste cose che valgono il viaggio. Una piccola cosa che può sembrare insignificante ma che invece rappresenta un contatto umano, una sorta di legame che alla fine resterà tra me e una città lontana. All'interno di un piccolo negozio senza pretese, in un quartiere popolare di Dublino, ci sarà una mia foto, appesa in un suo muro.
La nostra camminata, procede stancamente e termina da li a poco in un pub, alla ricerca di un boccone. Qua però non fanno da mangiare, ma l'atmosfera ci afferra subito, ci guardiamo in faccia e ci capiamo al volo... una birra e poi via. E' l'una e mezza del pomeriggio, le tv trasmettono corse di cavalli e calcio. Ci sono scommettitori, tifosi e una coppia di sessantenni. La mia curiosità cade proprio su questi ultimi: credo non si siano scambiati neanche una parola, lui guarda la tv e sorseggia una pinta di birra chiara, lei legge un giornale e sorseggia una pinta di birra chiara. Terminate quelle ne chiederanno altre. E la domenica pomeriggio passa così. Poi c'è "lo studioso", un tipo solitario in un angolo che sorseggia una pinta di birra chiara mentre legge un giornale con le notizie sui cavalli. Sicuramente scommette, ma in silenzio. Diversamente invece dal "mezzoitaliano", un simpaticone che subito familiarizza con noi. Esulta quando uno dei suoi cavalli si piazza e impreca quando invece perde. Ci dice che sua moglie è italiana e sa qualche parola. E' simpatico. Nel frattempo noi siamo già alla nostra seconda guinness (come anche i sessantenni del resto), ma decidiamo di guardarci almeno il primo tempo di Manchester United - Liverpool appena iniziata. E' uno spasso vedere i ragazzi tifare e imprecare... Al termine del primo tempo quindi decidiamo di andar via, intanto per mangiare un boccone ma soprattutto per andare alla fabbrica della Guinness. Chiediamo al "mezzoitaliano" se ci vuole molto per arrivare, ma ecco che il nostro amico su dieci parole che dice sei di esse sono "bullshits". Insomma in poche parole ci smonta la visita, dicendo che non ne vale la pena, che 18 euro sono troppi, che è meglio bersi la birra con quei soldi eccetera. E' molto convincente e alla fine accettiamo il suo consiglio col sorriso sulle labbra e con i soldi risparmiati andiamo a pranzare in un pub li vicino. Anche questo pub è meraviglioso. La zona dove si mangia è in una parte a se stante in alto con vista sul pub dove la gente guarda le tv, beve birra e chiacchiera. Finito di mangiare andiamo nell'altra ala del pub dove un gruppo di amici suonano e cantano canzoni popolari irlandesi tra cui "The auld triangle" che avevo già ascoltato a Galway. Ci sediamo ad ascoltarli. A turno ciascuno di loro prende iniziativa e parte con un motivo tradizionale. Quando lasciamo il pub fuori è ormai buio, decidiamo comunque di andare a vedere almeno l'esterno della fabbrica della Guinness.
La domenica sera dublinese per le strade e per i locali è leggermente meno caotica della sera prima. Stavolta ci sistemiamo in un pub abbastanza comodo, seduti ad ascoltare un giovane cantante a cui segue un altro. Ma dopo un po notiamo che il locale non "decolla" quindi cambiamo aria e torniamo prima al Quays poi al Temple Bar dove invece l'atmosfera è più calda e chiassosa ma senza soffocare come ieri e l'occasione è buona anche per fare qualche chiacchiera con la gente del posto.
L'ultimo servizio, ottimo, dell'ostello Isaac è la navetta che ci porta direttamente in aeroporto alle 4.30 della mattina (volo alle 6.30) al costo di 7 euro a testa. Il tragitto dura appena 15 minuti, anche perchè non c'è traffico.
Conclusa un'altra meravigliosa esperienza. Le cose più belle come al solito me le ha date la natura, che soprattutto in questa stagione è al massimo della sua potenza. Porterò con me i piccoli paesi e soprattutto i pub e la loro atmosfera. La gente irlandese, le loro abitudini e la loro voglia di divertirsi. Sicuramente però è una terra che va vista anche d'estate, forse ancora meglio in tarda primavera, se non altro per godere di molte più ore di luce, vedere più posti e con più calma, con l'inconveniente, però, del maggior flusso turistico.

giovedì 9 gennaio 2014

Patagonia, novembre 2013




"L'aereo è davvero saltare il fosso.... e ti prende quella voglia di volare .... e allora perchè non andare in Argentina?" Canta così il mio amato maestrone Francesco Guccini.
Quest'anno scelgo la Patagonia.
Destinazione importante, sogno degli escursionisti e meta irrinunciabile degli alpinisti di tutto il mondo. La Patagonia è lontana, una regione immensa, che si estende a cavallo tra Cile e Argentina fino alla Terra del Fuoco. Una di quelle terre di cui ne hai appena sentito parlare, che sai a malapena dove possa essere.
Non amo particolarmente l'organizzazione minuziosa, la cura dei dettagli, la maniacale preparazione di ogni virgola, in modo tale che tutto vada liscio. Mi piace, come ogni zingaro che si rispetti, lasciare molte cose all'ispirazione del momento. Certo corri il rischio di tralasciare alcune cose importanti da visitare, ma c'è anche il rischio che vedere troppe cose prima di partire ti rovini un pò la sorpresa, la vista, il gusto.
Prendo la guida "Trekking in Patagonia" della Lonely Planet. Il viaggio comincia qua, l'immaginazione parte, vado qua, vado la, no la non riesco eccetera. Terra del Fuoco, Ushuaia, Osvaldo Soriano, Capo Horn, Walter Bonatti. Ricordo bene il suo racconto dell'esperienza in quel posto impossibile, invivibile, dove abita solo la furia del mare e del vento. Luogo mitico, di naufragi e leggende. Il trekking più a sud del mondo si trova proprio qua, Isola di Navarino, di fronte a Ushuaia ma in terra cilena. Il circuito "de los dientes" così si chiama. Un trekking circolare attorno a delle montagne che spuntano come denti. Sei immerso nel nulla, dura cinque giorni, nessuna struttura ricettiva, solo tu, la tua tenda, la tua pioggia, il tuo vento, la neve magari. E Ushuaia, dove Soriano racconta del campionato del mondo di calcio che venne giocato durante la seconda guerra mondiale.
E poi c'è il mitico Cerro Torre, un pilastro di granito rosso, che quando lo vedi ti zittisce, ti spegne, e ti dici che no, non è possibile che qualcuno possa essere salito lassù.
E leggi delle Torres del Paine, montagne dalle forme spettacolari, isolate in terra cilena, dove il primo vero insediamento umano lo trovi solo se cammini per 100km.
Oceani, ghiacciai, pinguini. Troppa roba, distanze quasi proibitive. La forza è saper rinunciare, fare delle scelte, dettate dal budget di soldi e tempo. Ed la scelta mi porta a escludere l'estremo Sud e puntare sui 3 siti: Parco Nazionale Los Glaciares (Cerro Torre e Fitz Roy), Perito Moreno e Parco Nazionale delle Torres del Paine.
Il periodo a disposizione infatti è di due sole settimane, che sceglierò dal 23 novembre all'8 dicembre. In Patagonia in quel periodo la primavera volge al termine, novembre in pratica corrisponde al nostro maggio.

Tutti i dettagli tecnici li metto in coda al racconto.

Video su youtube: Video del viaggio in Patagonia

24 Novembre 2013
"Vuoi cenare con noi?" Si presenta così Hennieke, una ragazza olandese il cui viaggio di un mese, da sola, in Argentina volge al termine. Certo che voglio. Ed ecco Jorge, lui sì che gioca in casa, direttamente da Buenos Aires, mi viene in contro mentre esco dalla camera, mi stringe la mano con un caloroso "hola companero" e un sorriso che mi fa sentire a casa. Mentre mi preparavo per la mia prima isolata serata, ecco che mi ritrovo felice e colpito dall'accoglienza all'hostel Condor de los Andes, El Chalten.
Il viaggio non era cominciato benissimo.
A Buenos Aires ho infatti un po di tempo a disposizione, circa un'oretta, e dovendo cambiare aeroporto e quindi attraversare la città decido di scendere al capolinea del Bus Manuel Tienda Leon, zona Retiro, per fare un giretto, il tanto di vedere qualcosa e bere una birra. Ho il mio enorme zaino in spalla e davanti la zainetto della macchina fotografica. La zona non mi sembra delle migliori, c'è la stazione centrale, spazi aperti, strade enormi, un po di traffico, il sole si fa sentire per la prima volta. Mi dirigo verso il centro a piedi, passando sotto un lungo portico di un blocco di edifici.  A un certo punto sento un getto d'acqua che mi cade addosso, appena dietro la testa e centra in pieno lo zaino. Ma non è acqua quella, a meno che da queste parti l'acqua non sia verde. E' infatti una salsa, un qualcosa che usano per condire i piatti al ristorante. Frazioni di secondo in cui penso che sopra di me c'è un ristorante e allora a qualche sbadato è cascata la salsa. Ed ecco venirmi incontro un uomo asiatico, per me è un cinese, sulla quarantina, con gli occhiali, a porgermi, dispiaciuto, un fazzoletto di carta, per aiutarmi a pulirmi. Ora sono fermo, mi pulisco un po, ma il fazzoletto non basta. Il cinese premuroso si ferma dietro di me, si sfila il suo zainetto e tira fuori una bottiglia d'acqua. Mi vuole aiutare, mi da un altro fazzoletto, ma intanto mi versa un po d'acqua dietro il collo dicendo che sono sporco e di togliermi lo zaino che mi aiuta a pulirmi. Frazioni di secondo. Attimi. Resto lucido e capisco di essere da  solo con lui, non c'è nessuno, e allora grazie amico mio, gli dico che lo zaino non me lo tolgo, che non importa, mi volto e tiro dritto, passo deciso, spedito verso un gruppo di persone che aspettano l'autobus a una fermata più avanti. Solo allora mi sfilo lo zaino e lo pulisco, prendo il primo taxi e via verso l'aeroporto.
Finalmente arrivo a El Calafate, piccolo aeroporto. La Patagonia mantiene subito le promesse: grandi spazi, sterminate distese di giallo e verde da bassa vegetazione che per via del vento non può che essere così. Ma la prima gioia è quando vedo il mio zaino spuntare fuori dal nastro, segno che ce l'ha fatta, che ha resistito alla tentazione di molti amici suoi di perdersi, di prendere altre destinazioni da quelle previste dal suo padrone... e invece lui è arrivato per fortuna, insieme a me, senza di lui la mia avventura non avrebbe potuto iniziare, ma è là, lo prendo, sembro dire a tutti che quello è il mio e che ora si comincia.
Ma tra me e la mia prima destinazione, El Chalten, ci sono ancora 200km da percorrere in circa tre ore e mezza, ma sono sereno, vado dritto allo stand della compagnia Las Lengas che effettua il servizio di collegamento diretto dall'aeroporto per El Chalten, prenotato dall'Italia. Fuori l'aria è frizzante, pulita, il vento comincia a dirmi che mi tormenterà per buona parte della mia permanenza, ma è giusto così. C'è un bel sole, ancora alto, sono le 5 del pomeriggio. Il viaggio in bus scorre abbastanza bene, la tappa obbligata in questo percorso e all'osteria La Leona, un bar con servizi, posti letto e un negozietto di souvenir. Spicca la foto del ricercato Butch Cassidy, noto criminale trattato anche nei racconti di Osvaldo Soriano e Bruce Chatwin.
Butch Cassidy, a La Leona

Bevo un matè concido e una fetta di una squisita torta di mele. Il piccolo bus è pieno, ci sono tre coppie, una famiglia coreana con una bimba spettacolare di 17 mesi. Fuori dai finestrini distese infinite, il lago Argentino, un mare azzurro ghiaccio, e le montagne in lontananza, dove noi stiamo andando, proprio incontro al Fitz Roy e al Cerro Torre.
Cerro Torre e Fitz Roy

Duecento chilometri di niente, di nessun insediamento, fatta eccezione per La Leona e per qualche estancia. Ogni tanto vedo tristi scheletri di guanachi, appesi come tappeti stesi ad asciugare, rimasti là nel filo spinato, nel tentativo di scavalcare la rete che separa la strada dalle praterie, in cerca di chissà cosa.
El Chalten mi piace: è una distesa di casupole, più o meno ordinate, attraversata da una strada principale ed altre piccole, alcune sterrate, come ad esempio la mia dove si trova il mio ostello, ad accogliermi c'è la simpatica Marianna che mi spiega che la camera è quella, che la chiave la devo lasciare in portineria, mi mostra la cartina e mi dice del supermercato, dei ristoranti, del sentiero per il Cerro Torre, il tutto con il sorriso. La disponibilità, il sorriso di questa gente mi accompagnerà per tutto il viaggio.
Cerco il gas per il mio fornellino da campeggio, riesco a trovarlo in un negozio in chiusura sul lungo viale San Martin e trovo anche due panini e due mele in una panetteria gestita da una deliziosa signora del posto. L'aspetto dei panini e delle mele non è dei migliori, a casa mia non li avrei mai acquistati, ma sento ancora il gusto, la freschezza che pulisce la bocca di quelle mele, quando anche il luogo e il momento in cui le assapori ti cambia il punto di vista.
Ma ecco che mentre provo a connettermi col mio smartphone alla civiltà e segnalare in Italia che sono vivo,  la voce di Hennieke mi interrompe. E così usciamo, io lei e Jorge, alla ricerca di un posto dove cenare. La sera è sopportabilmente fredda, ma chissenefrega, in fondo, ora, in quella strada un pò in discesa  camminano un italiano, un argentino e un'olandese, insieme, come se il destino avesse deciso così. Penso che la gran parte di un viaggio è questo, l'incontro, casuale, in comune solo la voglia di vedere posti nuovi e gente diversa. Il freddo bussa alle ossa ma nessuno di noi lo sente perchè camminiamo e sorridiamo. Il primo ristorante scelto per noi dalla guida turistica scritta è ovviamente strapieno e allora optiamo per il "Mi vejo" che ci era sembrato carino sulla via. Lasciamo fare ovviamente a Jorge, che ci sceglie un ottima carne di agnello e un rosso argentino Malbec. Ci si racconta un po delle nostre vite lontane. L'indomani Hennieke farà il sentiero Laguna Torre e allora le propongo di farlo insieme, mentre Jorge che l'aveva appena fatto farà il giro dalla parte del Fitz Roy. Faccio la mia conoscenza del "dulce de leche", in questo caso in formato digestivo. La serata termina in una cerveceria artigianale che però aveva già finito le loro birre e alle 2 siamo di ritorno all'ostello.


25 novembre, il Cerro Torre
Ore 7.30 colazione nella calda saletta, poi prima di partire vado a prelevare un po di pesos argentini che potrebbero servirmi nei 3 giorni di trekking, ma che non userò mai... Il tempo di fare un paio di foto con Jorge, che poi non rivedrò più, chiudo lo zaino e partiamo. Hennieke sorride nel vedere il mio zaino enorme, dice che mi rispetta, sorrido. Guida lei, la vedo sicura e poi mica ci si perde, il sentiero è segnato abbastanza bene. Comincia subito con una ripida ma breve salita, da dove ammiriamo il paese dall'alto. El Chalten giace appiattito cercando di ripararsi dal vento con l'aiuto delle montagne e sembra riuscirci.
El Chalten

Nella mia mente cominciano i confronti con i luoghi alpini a cui sono abituato. Comincio a misurare la fatica, guardo per terra, i sassi, gli arbusti. Il sentiero come si muove, dove trova spazio. Le rocce segnate tipiche dei più frequentati sentieri di casa mia sono solo un ricordo, ci sono solo rari cartelli, ma è davvero impossibile perdersi. I primi 20 minuti mi fanno capire che la maglia a maniche lunghe con cui ho iniziato è troppo, comincio già a sudare, e allora via. Cominciamo a incrociare alcuni escursionisti a cui chiediamo strada. Il vento è praticamente assente. La vista delle torri arriva dopo un'oretta di cammino.
Cerro Torre

Quando vedi per la prima volta dal vivo qualcosa che hai visto solo in fotografia le cose sono due, o ti sorprende o ti delude. Se dici che era come te lo eri immaginato vuol dire che non hai poesia dentro di te, o che semplicemente ti ha deluso ma non vuoi ammetterlo. Lo spettacolo del Cerro Torre, con pochissime nubi ad accarezzargli la pancia, col cappello di ghiaccio in testa è già chiaro, anche se siamo ancora molto lontani. C'è una cosa che non mi sono mai detto guardando le fotografie del Torre, ed è la prima cosa che ho invece detto vedendolo ed immaginando di spingermi con lo sguardo fino ai suoi piedi immersi nel suo stesso ghiaccio: non è possibile che un essere umano sia salito fin là sopra, non è una cosa fattibile. La certezza, che sarà solo mia, si acutizzerà man mano che mi avvicino, perchè il sentiero che seguirà sarà seguito solo dai miei scarponi, mentre i miei occhi saranno ipnotizzati dal suo granito, rosso, spinto verso l'azzurro. Le montagne che piegano a sinistra non sono anonime, sono quelle di Walter Bonatti, scalate in splendida progressione con l'amico lecchese Carlo Mauri: Cerro Adela, Cerro Doblado, Cerro Neto , Cerro Luca. L'anfiteatro della valle, in una giornata come questa, lascia il segno. Forse la vista migliore è quella che chiamo "Silver": una distesa di alberi argentati e spogli, mischiati nel verde e che fanno da base alle vette che chiudono la valle un po bianche un po rosse.
Cerro Torre (silver)

Al bivio tra il campamento De Agostini e la "scorciatoia" per il Mirador Maestri teniamo la destra e attraversiamo il camping degli alpinisti, i marziani che oseranno sfidare le montagne dalle pareti strapiombanti. Solo il pensiero mi mette inquietudine, il campo base sembra disabitato, chissà, penso, dove sono i sognatori.
Usciti dal bosco e saliti per una lenta ascesa su terreno detritico, eccoci dimenticare i piacevoli e leggeri raggi di sole che scaldavano le spalle, per passare subito alle raffiche di vento intenso e freddo che arrivano direttamente dal ghiacciaio del Torre che ci troviamo di fronte e che va ad adagiarsi sull'omonima laguna, sotto di noi, piatta e leggermente ingrigita. Gli occhi ricevono e trasmettono al cervello la meraviglia del paesaggio, con il Cerro Torre, adesso, quasi beffandoci di noi, ha deciso di coprirsi le spalle con qualche nuvoletta.

Ma ecco che assisto ad una delle scene per cui credo valga la pena viaggiare. Davanti a me, praticamente lo è sempre stata (I will follow!), vedo Hennieke che saluta un ragazzo che, insieme ad altri, arriva dal vicino Mirador Maestri. Il biondo capellone, Billy o Willy o sicuramente qualche nome diverso, non ricordo, risponde al saluto contento e sorpreso, si abbracciano. Si scambiano parole che il vento porta via, non le sento, un minuto, qualcosa in più, arrivo anche io e gli stringo la mano, in segno di saluto, va via: "See you in Europe!"
"Ci siamo visti qualche giorno fa a Bariloche e adesso ci incontriamo nuovamente qua!". Questo mi dice, Hennieke, subito dopo, felice, divertita, sorpresa.
Bariloche, città argentina, a circa 1400km di distanza.
Ecco, il punto è questo. La casualità, l'incontrarsi e magari il rivedersi fosse solo per un saluto. Un sorriso, un'emozione. Nel viaggio di ritorno in pullman verso El Calafate, con la strada che scorre su paesaggi aridi, secchi, segnati dalla natura spietata di questi luoghi, penserò molto a questo incontro. Viaggiare ti emoziona. Ne valeva la pena fare un viaggio così lontano? Si, mi dico, ma non per la distanza geografica che tende a solcare lo stacco con la routine. Guardando fuori dal finestrino, mentre il giallo dei bassi cespugli scorre inesorabile, pensavo che in quel momento ero felice. Un occhio all'orologio e mi dico, se non ero qua dove ero? A casa, mezzanotte, l'indomani sarei andato al lavoro per sentirmi dire che in banca non si fischietta nei corridoi perchè non è decoroso. Chi mi guardasse ora scorgerebbe un sorriso disteso e sereno.
Laguna Torre
Dopo aver saggiato l'acqua gelida della laguna torre, con qualche secondo di piedi a bagno, ci dirigiamo verso il Campamento De Agostini, dove passerò la notte. L'immaginazione corre tranquillamente verso quello che troverò, cioè una bella struttura coperta con un bar dove poter bere qualcosa di caldo, dei comodi tavoli dove poter leggere qualche pagina.
Pochi minuti di cammino in leggera discesa verso un bosco ed ecco il grande cartello che indica l'ingresso del Campamento. Gli occhi vanno subito alla ricerca della struttura in legno e vetro immaginata poco prima, ma purtroppo là ci resterà. Di fronte a noi non c'è nient'altro che alberi e terra. Piazzole per mettere le tende. Un bagno, anzi, una latrina che non è altro che un metro quadro coperto da 4 pareti di plastica alte due metri. Mi sento un po perso, deluso perchè mi aspettavo un qualcosa che non c'è ma non c'è proprio per niente, non c'è neanche una misera copertura semiaperta. Niente. Anche Hennieke è sorpresa, entrambi sorridiamo, lei forse un po di più guardandomi vagare per l'area alla ricerca di qualcosa che non fosse un albero, o una piazzola... ma quello che trovo è solo un piccolo cartello che segnala la fine dell'area di campeggio... Mi rassegno, individuo il posto dove metterò la mia tenda, e da li a poco sarò di nuovo solo. Hennieke infatti deve andare, torna ad El Chalten e l'indomani comincerà il suo ritorno in Olanda. Saluto, con una punta di dispiacere, questa bella ragazza, jeans chiari, scarpe allstars, occhi azzurri e capelli chiari, viaggiatrice solitaria.
Tenda montata, preparo uno zaino leggero e via verso il Mirador Maestri. Il sole è ancora alto, il tempo è molto bello. Il primo tratto è un po faticoso, sale lungo il lato destro della Laguna Torre, poi sale dolcemente senza mai abbandonare la vista della laguna e di tutta la valle, Cerro Torre ovviamente compreso. Cammino per un'oretta circa, finchè il sentiero sembra finito. In effetti è segnalato molto male. Da qui il Cerro Torre sembra davvero vicinissimo. Resto da solo con lui, un condor mi passa sopra la testa.
Rientrato al campeggio, trovo altre 3 o 4 tende. La notte passerà molto serena senza un filo di vento. L'isolamento, se non fosse per le poche anime che dormono attorno a me, sarebbe totale. Non c'è possibilità di comunicazione con la civiltà, non c'è linea telefonica, El Chalten è a 2 ore e mezza di cammino.
Tramonto
Il tramonto è meraviglioso, la notte, per niente fredda, scorre serenamente. Riesco anche a uscire dalla tenda in piena notte per provare a fare qualche fotografia ma il risultato non mi soddisfa pienamente.  


26 dicembre, il Fitz Roy
Prendo coscienza delle ore di luce. Sono tante, non c'è nessuna fretta. I primi bagliori cominciano già verso le 4 per terminare poco prima di mezzanotte. Luce, non sole. Ma il sole c'è anche oggi, bello caldo e forte. Parto dando le spalle al Cerro, non senza prima esserci salutati, lui ancora immenso e pulito, io carico di spirito e di zaino per la volta della traversata bassa del Fitz Roy. Ma il percorso sarà duro oggi, anche se ancora non lo so. Il bosco durerà molto, il sentiero che porta al Campamento Poicenot attraverso le Lagune Madre, Figlia e Nipote comincia quasi subito a salire. La scena tipica di questi boschi sembra quella di una guerra e gli alberi sono i guerrieri, molti dei quali giacciono morti, con le radici all'aria, spezzati. Uno sembra resistere: caduto di testa, disegna una specie di N, mentre cerca di rialzarla verso la luce.

Laguna Madre
Incontrerò solo una ragazza solitaria in questo tratto che durerà circa quattro ore. Solo al termine della salita comincerò a respirare e godermi il paesaggio. Sembra quasi che la laguna Hija spunta solo perchè è da un'ora che la chiamo, perchè so che significa sentiero in piano. E con lei comincia a spuntare il fianco del Fitz Roy, rosso che spicca sull'azzurro. E' ancora nascosto, si svelerà piano, mentre percorro tutta la valle.

E' durante questo percorso che capisco le mie capacità e ciò che riuscirò a fare durante il trekking. Abbandono il programma che prevedeva in giornata il superamento del Campamento Poicenot e l'arrivo al successivo camping/refugio Los Troncos, Preda del Frailes, più a nord, oltre il Fitz Roy. Decido che non ne vale la pena. La vista da sopra la Laguna Madre è eccezionale, grazie anche al bel tempo. Il vento che comincia a presentarsi e che non mi lascerà più in pace per tutta la giornata di oggi e domani, non mi impedisce comunque di sedermi, fermarmi, ammirare il panorama del gruppo del Fitz Roy. Riesco a vedere la cima. Vedo il vento che ci sbatte sopra, con le scie bianche e veloci che l'accarezzano. Verso la fine del percorso incrocio le uniche anime vive della valle delle lagune, cioè un gruppo di ragazzi alla ricerca del Mirador Fitz Roy, segnalato nella cartina, ma per niente nella realtà, e un gruppo di lama carichi di attrezzatura al servizio degli alpinisti.
Quando arrivo al Camping Poicenot non mi aspetto niente di diverso dal De Agostini ed infatti l'unica cosa da fare è trovare la miglior piazzola disponibile per piantare la tenda. Molto stanco per la camminata mattutina, ma assaporo davvero la libertà, l'essere in un posto isolato, nessuna comunicazione con il mondo esterno.
Al Camping Poicenot
Mentre assaporo il panino al jamon acquistato dalla tziedda in paese, riposo spalle e gambe appoggiato ad un tronco d'albero sdraiato in un prato, di fronte a me le montagne per le quali mi trovo la. Il gruppo del Fitz Roy, le guglie Poicenot e S.Exupery. Perfette, nessuna nuvola intorno.
Organizzo uno zaino leggero, e via verso la Laguna Los Tres, luogo immancabile per chi passa da queste parti. Arrivo dopo 1 ora e 20 di cammino sudato, salita impegnativa, anche a causa del vento. A differenza di stamattina, ci sono tantissimi escursionisti su questa via. Dietro di me lascio il bosco con dentro la mia tenda, e mentre salgo si vedono Laguna Madre, Figlia, Laguna Capri, e più lontano l'azzurro del Lago Viedma. In cima resto a bocca aperta. Tipico, quando ti aspetti una cosa e ne trovi un'altra.
Laguna Los Tres

Il lago che avevo visto in immagine, blu, non c'è. O meglio c'è ma non è per niente blu, bensì bianco, ghiacciato. Prima stupore, poi meraviglia, comanda il bianco in questo colle a soli 1000 metri di altezza. Cerco subito un punto di riparo dal vento per potere ammirare e scattare qualche foto. Poi via giù a fare assaggiare ai miei piedi la temperatura e la purezza dell'acqua del lago ghiacciato. Il sole ti scalda la faccia e l'animo, ti ridà quello che il vento ti toglie. Breve escursione sul lato sinistro, verso uno dei punti più emozionanti. La dove il lago trova sfogo e manda giù a poco a poco la sua fredda acqua, verso un lago che sta forse 200 metri più a valle.
Laguna Sucia

E' la Laguna Sucia, ferma, lei sì blu ghiaccio, una lingua adagiata sotto uno dei ghiacciai che scende dal Fitz Roy. E' una meraviglia, perchè arriva agli occhi all'improvviso.
La notte dura non so quante ore, è la notte del vento, indelebile il ricordo del fischio che parte da lontano e i momenti in qui penso "ecco ora questa raffica mi fa volare" e invece resto ogni volta saldo a terra, la tenda fa bene il suo lavoro. Il fischio dentro è un tuono, poi prosegue il suo percorso, via verso le altre tende. Momenti di silenzio, in cui sembra che abbia finito, ma non sarà così. Perchè non sarà lui a lasciarmi stare, ma io a lasciarlo qua in questa valle soltanto quando salirò sul pullman il giorno dopo.

27 novembre, ritorno a Calafate
Abbandono la tenda per una veloce escursione lungo il Rio Blanco fino alla Predas Blancas , che si trova a circa 45 minuti.
Mentre vado capisco che piove anche se non piove. Il cielo è infatti leggermente velato, le montagne sono un po coperte, ma c'è il sole pieno. Ma l'acqua mi arriva di traverso lo stesso. Il vento infatti la raccoglie dai fiumi e dai laghi dei dintorni, la porta a spasso per l'aria e infine la sbatte in faccia agli escursionisti. Penso che lo faccia apposto, per burlarsi un po di noi, e io accetto lo scherzo a brutto muso. La Laguna Predas Blancas è chiamata così per le grosse rocce bianche che si frappongono tra il sentiero e il lago. Per arrivare al lago infatti occorre superarle e non sempre è banale. Meriterebbe più tempo anche questo spettacolare laghetto su cui cadono i blocchi di ghiaccio azzurro, meriterebbe anche il bel tempo in effetti, ma le gocce di cui prima ti arrivano in faccia a ripetizione. Mi ritrovo ad eseguire metodi da guerra da trincea per poter fare una fotografia. Appostato dietro una grossa "preda blanca" aspetto il momento in cui il nemico abbassa la guardia per ricaricare le munizioni e solo allora balzo fuori e scatto le mie foto.
Laguna Predas Blancas
Rientrato al camping, disfo la tenda, preparo lo zaino e mi avvio verso una lunga camminata che in circa 3 ore e mezza mi porterà a valle, alla civiltà. Il percorso è in lenta discesa, con punto intermedio rappresentato dalla Laguna Capri, l'ennesimo lago alle cui sponde sorge l'omonimo campeggio.
Laguna Capri
"Siete in due?" No che non siamo in due, il mezzo litro di vino che ho chiesto lo voglio tutto per me... Sorrido alla domanda del cameriere che non sa con chi sta parlando! Mi godo appieno il momento di relax, seduto al caldo, al riparo dal vento finalmente, tavolo fronte strada, mi gusto la bistecca definitiva, cioè il filetto di manzo più buono che abbia mai mangiato.
Ristorante Ahonikenk

Il ritorno in pullman è dolce, riposo un po, cullato dalla marcia lenta, dal paesaggio fuori e dai pensieri a quello che ho passato questi giorni e a quello che mi attende. Pensieri che volano fino all'Italia, alle differenze, alla realtà a cui mi sono sottratto per un po di tempo.
L'ostello è l'America del Sur, posto su una lieve altura sopra il paese, arrivo a sera inoltrata, c'è ancora molta luce. I ragazzi ti mettono subito a tuo agio, sembra una sorta di autogestione, se non si trovassero al di la del bancone non sapresti che gestiscono l'ostello. Tant'è che poi li trovi a bere una birra ai tavoli in comune o sui divani a chiacchierare con noi ospiti. La mia camera per due notti si chiama "Atacama", due letti a castello, gli altri ospiti sono una coppia che vedo di sfuggita e un ragazzo tedesco. Ma in mente ora ho solo la doccia liberatoria e il letto.


28 novembre, Perito Moreno
La mattina dopo si va a ammirare il Perito Moreto, meta inevitabile per chi viene da queste parti. Altra bellissima giornata, sembro a credito con la fortuna, anche il vento mi darà un po di tregua oggi. L'avvicinamento è lento, prima tappa dall'alto dove cominci a vedere il mare di ghiaccio che va a baciare il Lago Argentino. Già da questa distanza ammiri l'immensità. Ma è dal battello che capisci di cosa si sta parlando: una parete con punte di sessanta metri, un fronte lunghissimo di ghiaccio tra il bianco, l'azzurro, il blu.

Le guide ci spiegano alcune cose, sul comportamento da tenere mentre faremo il minitrekking. Per me non è la prima volta quindi non si tratta di una novità, diversamente da una signora australiana che sarà oggetto d'attenzione per il gruppo, ma soprattutto per le guide, per l'intero percorso. Non ha mai trovato l'equilibrio, la sicurezza e la tranquillità, probabilmente non si dimenticherà mai questa esperienza (più in senso negativo...) ci diciamo io e Christine. Già, Christine, dottoressa brasiliana in vacanza solitaria per due settimane, facciamo conoscenza proprio sul ghiacciaio.

Tra crepacci e piccoli laghetti blu facciamo dei saliscendi, brevi soste, e l'idea di camminare sopra uno dei ghiacciai più famosi del mondo è decisamente appagante, ma la sorpresa, divertente, arriva all'ultima sosta, dove le guide ci offrono un bicchiere di whiskey con il ghiaccio del Perito! Idea simpatica e originale.

La prossima tappa è la balconata, un percorso proprio di fronte al Perito, da dove possiamo ammirare il fronte immenso del ghiacciaio, sentirne i rumori del lentissimo movimento, ammirare qualche pezzo che cade in acqua senza, ovviamente, avere il tempo di poter immortalare il momento in una foto. Quello che colpisce di più è l'imponenza, la maestosità della muraglia che si apre a ventaglio e ti senti impotente, perchè qualsiasi ostacolo possa frapporsi tra lui e il suo percorso verrà arginato. Io e Christine percorriamo l'intero percorso di una mezzoretta, tra chiacchiere e foto e preghiere disattese per far cascare un pezzo di ghiaccio mentre cerco di filmare... Arriveremo per ultimi al pullman guadagnandoci lo sguardo di disapprovazione del capogruppo. Inevitabile anche la cena insieme al  Librobar di El Calafate, bel locale suggerito dal mio ostello. Vino Graffigna, filetto di manzo, crepes al dulce de leche, liquore di calafate. Nel mezzo tante chiacchiere, viaggi, politica, film e libri, sport e Martin Lecce, un illusionista che si siede di fianco a noi e cavoli, ancora oggi non so come faceva a girare quelle quattro carte ogni volta diverse.
Rientrando in ostello ripercorro l'intera giornata e come, ancora una volta, il viaggio ti sorprende e ti arricchisce, soprattutto nell'incontro.
29 novembre, Torres del Paine
Salto sul pullman che ancora dormo, anche perchè sono appena le 5.30 del mattino, il viaggio che mi aspetta sarà quasi interminabile attraverso la sterminata pianura patagonica, ma anche a causa di un improvviso sciopero dei doganieri cileni. "La buona notizia è che dovremo aspettare solo 6 ore": così esordisce Alejandro la nostra guida cilena che ci accoglie proprio alla frontiera tra Argentina e Cile, a Cerro Castillo.
Alla dogana di Cerro Castillo

Evidentemente, deduco, la cattiva sarebbe stata che dovevamo tornare a El Calafate...
Il programma che avevo in mente dall'Italia era di fare il circuito intero delle TDP, ma i tre giorni passati a El Chalten, la fatica di camminare con lo zaino pieno, il fatto di avere i giorni contati previsti per l'intero percorso, cade definitivamente oggi stesso, anche a causa del ritardo alla frontiera che mi fa praticamente perdere una tappa. Decido insomma di prendermela comoda facendo l'altrettanto bellissimo "trekking w", più sicuro e con la possibilità di muovermi anche con lo zaino alleggerito. L'arrivo nel tardo pomeriggio nella zona dell'Hotel Torres avviene sotto un cielo nuvoloso. Mi trovo ai piedi del gruppo delle Torres del Paine, nel versante del Monte Almirante Nieto. Il campeggio stavolta è come me lo auguravo, cioè dei bagni, docce, e poco distante il rifugio, dove poter mangiare qualcosa. Finisco di piantare la tenda, con qualche coniglio che passa nei dintorni. Il primo insediamento umano è a circa 100km da qua, gli abitanti del posto sono gli escursionisti e le persone che lavorano nei vai rifugi sparsi per il Parco, si tratta di un posto selvaggio dove la mano dell'uomo è leggerissima. Gli stessi sentieri sono segnalati in maniera essenziale, non ci sono deviazioni, solo il sentiero principale, per salvaguardare il più possibile l'ecosistema.



30 novembre, Mirador Las Torres
Il risveglio mi dice che non sempre può andarmi bene. Non piove, ma stavolta il cielo è coperto e le vette sono velate dalle nuvole. Lascio la mia tenda in campeggio e parto con lo zaino leggero. Il passo è spedito, respiro aria e libertà, a volte un po troppa gente, per fortuna siamo solo all'inizio della stagione, immagino come possa essere in estate piena... Raggiungo il Refugio Chileno in un'ora e un quarto, molto in anticipo rispetto alle due ore previste dalla mappa. Risalgo ancora la Valle del Rio Ascensio e giungo alla destinazione del Mirador Torre con un po di pioggia, la prima e unica che incontrerò nel mio percorso. Riesco a trovare riparo sotto una grande roccia e godermi il paesaggio anche se a metà. Le torri infatti, maestose, sono coperte.
Le torri dal Mirador las torres

Ricordano moltissimo le tre cime di Lavaredo. Ed è qui che penso a quanto siamo fortunati noi italiani ad avere le Alpi in casa, le Dolomiti, posti eccezionali e facilmente raggiungibili. La perfetta solitudine tra me, le torri, il ghiacciaio e  il lago di fronte dura una decina di minuti, fin quando cioè un gruppo con guide al seguito raggiungono la mia postazione, ovviamente invidiata. Gliela lascio dopo un poco, non senza essermi assicurato un pezzetto di cioccolato gentilmente offerto.
Al rientro sosto con piacere al Refugio Chileno dove mangio un ottimo sandwich con "carne y queso", sotto le bandiere del Chile e della Patagonia (quest'ultima scoperta grazie ad uno dei ragazzi del rifugio), in semicompagnia di un viaggiatore coreano solitario come me.
L'Hotel Las Torres è il lusso qua alle Torres del Paine. Dormire qua costa almeno 250 dollari americani a notte, sicuramente dotato di ogni confort, per quel che mi riguarda passerò la serata a sorseggiare un paio di cervezas austral, e utilizzerò il wifi per la connessione con il mondo e far sapere che sono vivo. Il telefono infatti non avrà mai linea fino al mio rientro in Argentina, e ciò non mi dispiace più di tanto.
Mi dirigo alla tenda con il tramonto delle 23 alle mie spalle.



1 dicembre, traversata bassa delle TDP
"Ti sei perso?" Ecco Jordi, spagnolo, professore di matematica in pensione, che mi viene incontro mentre ho qualche dubbio tra cartina e cartello. "Vado verso il Refugio Los Cuernos", gli dico e lui pure mi dice, che se vogliamo possiamo fare lo stesso percorso insieme. A dispetto dei più di sessant'anni Jordi cammina bene, anche se attrezzato non benissimo, zaino non grande, una specie di borsa da computer e una busta della spesa ad occupare le mani, niente bacchette. Faremo diverse soste, più del previsto per i miei canoni, ma gradite perchè in compagnia. Piccolo episodio, l'amico Jordi non sentendosi di superare un fiume attraverso le pietre poste in mezzo, cerca una soluzione alternativa che lo vedrà aprire battere traccia in mezzo ai cespugli spesso spinosi, agli alberi bassi. Lo sentirò lamentarsi, imprecando contro la sua scelta. Non è stata una buona idea mi dice, ringraziandomi per averlo aspettato.
Il lago Nordenskjold
La traversata è davvero lunga, ma la giornata è per fortuna bellissima e con un vento quasi assente. Incontriamo poche persone in questo tragitto, qualche condor si va vedere in aria, alla nostra sinistra il lago Nordenskjold, alla nostra destra Los Cuernos. Purtroppo il dialogo con Jordi non c'è, lui parla solo spagnolo, io cerco di capirlo e ribatto un po in italiano... Mi riprometto di fare un corso di spagnolo al ritorno.
Arriviamo al Refugio Los Cuernos stanchi e affamati, ma per un guasto all'impianto elettrica non c'è molto da mangiare. Riesco ad arraffare l'ultima lattina di birra, e a mangiare un piatto tipico cileno con carne e patate. Il sole è pieno, passo diverso tempo a scaldarmi con i suoi raggi all'aperto e a godermi un po di silenzio, finchè non arrivano un paio di gruppi che purtroppo poco avevano a che fare con la montagna. Riescono ad occupare l'intera panca a disposizione per sedersi con i loro zaini impedendo ad altri di usufruirne, chiacchiere ad altissima voce, insomma insopportabili. Sono le tre del pomeriggio: "Carlos, esta es la hora de la siesta!", così ci salutiamo con il simpatico Jordi.
A me invece aspettano altre due ore di camminata verso il Campamento Italiano dove trascorrerò la notte. Il percorso mi porta prima in riva al lago in una bianchissima spiaggia di sassi, impossibile non fermarsi.
Verso il Campamento Italiano
Poi attraverso continui saliscendi arrivo all'imbocco della Valle Frances e poco più avanti ecco la mia destinazione. Fa freddo stasera, il campeggio è affollatissimo, riesco a trovare a stento una piazzola per la mia tenda. Il punto di ritrovo per la piccola comunità è una copertura in legno che funge da cucina, dove in tanti cerchiamo di cucinarci qualcosa. io stesso mi adopero per il classico risotto in busta, che almeno mi scalda lo stomaco. Vado in tenda stanco ma soddisfatto per la conoscenza fatta e per la lunga camminata sotto il sole, immerso in un paesaggio unico al mondo. 

2 dicembre, la Valle Frances
E' ora di alzarsi, il programma prevede l'escursione interna nella Valle France con zaino leggero, poi ritorno al campeggio e via verso il Lago Pehoè. Metto la testa fuori dalla tenda e vedo sprazzi di sole. Vado al bagno, e quando torno... sta nevicando! Non credo ai miei occhi, guardo bene e quelli son proprio fiocchi. Stupito e sorridente, colpito dal meteo patagonico, rientro in tenda per capire se è il caso di muovermi. Ci metto poco, zaino in spalla e via. Descritta come imperdibile meta di chi passa da queste parti, la valle si dimostra tale nonostante il tempo inclemente.
Risalendo la Valle Frances

Naturalmente anche il vento è tornato a farmi compagnia, ma ormai non me ne curo più, fa parte di me. Il sentiero iniziato dentro il bosco, esce un po allo scoperto per poi rientrare. Il Campamento Britannico, coperto di neve e privo di qualsiasi tenda, non sembra neanche un'area da campeggio. L'area centrale di ritrovo consta di un mucchio di alberi ravvicinati che formano una sorta di copertura alta forse un metro e mezzo, penso che la sua funzione sia quella di bivacco.
Il Campamento Britanico

Lascio la desolazione del campeggio e proseguo verso l'alto, da li cammino per altri venti minuti, in compagnia separata di un altro solitario, un ragazzo giapponese dal passo spedito. Quando arrivo in "cima" e lo trovo la gli stringo la mano sorridendo, come se fossimo arrivati in vetta di una montagna andina... Lui ricambia il sorriso. Il contatto con gli esseri umani è importante, fosse anche in questa sfuggente maniera.
Il panorama da qua viaggia fino al lago Nordernskjold, attraverso i ghiacciai e i boschi e los Cuernos.

Rientrato al Campamento Italiano mi carico tutto in spalla e scendo verso il facile percorso che mi condurrà alla prossima tappa, cioè la Laguna Pehoè con l'omonimo Refugio e camping. Il vento che dopo la sosta di ieri ha ripreso stamattina e credo abbia capito che mi sta antipatico, quindi ha deciso di perseguitarmi tutto il giorno. E mi farà anche uno sgambetto. Comincia a farsi vedere, come un gallo che gonfia il petto, mostrandomi come è in grado di raccogliere l'acqua dalla superficie del lago e portarla un po a spasso, magari sbattendola in faccia agli escursionisti di turno che percorrono la via appena sopra il lago.
La forza del vento

Come me ad esempio... Manca un chilometro al mio arrivo al rifugio e percorro il mio onesto sentiero quando mi ritrovo in un secondo sollevato da terra e gentilmente accomodato a sinistra, al di fuori del sentiero, come se volessi deviare di iniziativa per evitare, che ne so, una pozzanghera. Sorrido e ritorno a destra, nel sentiero, borbottando di non rompere i cosiddetti. Altri pochi passi e lui mi dice che no, non devo andare dritto, quindi mi ributta a sinistra, ma non si accontenta, e allora ancora a sinistra e un altro passo ancora e ancora. Pochi attimi e decido immediatamente che l'amico sta un po esagerando e siccome un po troppo a sinistra non va più bene perchè troverei un saltello verso il basso di una decina di metri, allora mi butto a terra con i miei venti chili di zaino. Continuo a sorridere, naturalmente imprecando. Ok dico, sei più forte, però ora basta, ma lui ne ha ancora un po da dire, finchè non prende un po di fiato e mi dice che ora posso proseguire. Negli ultimi metri che mi separano dal Refugio alzo lo sguardo da terra e vedo oltre le grandi vetrate le facce di chi già ce l'ha fatta, vedo i loro capelli fermi, non on aria, la faccia rilassata e asciutta e non tirata e scherzata dall'acqua di lago portata dal vento. Ok penso, tra poco tocca anche a me. La fatica e la conquista di un traguardo meritato, al termine di una giornata piena, densa di emozioni per quanto visto e affrontato, tra chilometri macinati e intemperie.
Dall'interno del Refugio Pehoè

Il rifugio è il giusto premio, la cena il mio trofeo. Era un po che non mangiavo, e bevevo, così bene. Note di merito alla zuppa di legumi e al vino Casillero. La tenda montata un po così così, ma le do fiducia. L'ho messa sotto costa, per prendere meno raffiche di vento possibile, ma fuori c'è davvero una sorta di tempesta, incessante. Di sopra c'è il bar, dove sorseggio un ottimo Pisco affondato in una poltrona e accompagnato da una musica mista a chiacchiericcio multilingua della sala. E' mezzanotte. Chiunque guardasse fuori dal rifugio vedrebbe un ombra correre con la luce della lampada frontale, zigzagando tra le tende del campeggio e buttarsi, ancora vestito, dentro una piccola tenda arancione, martoriata, ma ancora lì, orgogliosa e dignitosa.

3 dicembre, Lago Grey
Sprazzi di sole illuminano l'interno della tenda ondulata, il tempo di fare una delle rare decenti colazioni della mia patagonia e le nuvole hanno già preso il sopravvento coprendo il cielo. Anche il vento ha appena fatto colazione e come me si attiva per passare la giornata, io avanti in salita imbocco la valle che dal lago Pehoè mi porta sull'altopiano e lui percorre lo stesso sentiero in direzione ostinata e contraria.
Camping al Refugio Pehoè

L'aria è un po fredda stamattina, devo alternare molte volte la manica corta con la maglia e il guscio, tra le tante salite e discese. Sarà il centesimo lago che vedo... ma anche il Lago Grey ti lascia di stucco. Immenso, pezzi di ghiaccio che vagano, montagne innevate intorno e in lontananza l'omonimo ghiacciaio.
Lago Grey e ghiacciaio



Mi capita spesso di riconoscere facce già viste lungo tutto il percorso, viaggiatori anche loro come me anche se in maniera diversa. Il gruppone, i francesini, il giapponese, la coreana, gli amici veloci, gli strani. Hola, hello, ciao ciao, ripetuti a caso, vanno bene tutti, ci si saluta in montagna, un sorriso a volte è sufficiente, chi viene da una lunga e faticosa salita non dimentica un saluto, piuttosto lo fa con una smorfia. Sembriamo tutti amici, sembriamo dirci a vicenda che siamo felici di essere in questo posto. Lontano anni luce da una qualsiasi camminata per le strade della città, facce tutte uguali, spesso di corsa, nessun saluto, non ci si guarda negli occhi. Hai tutto il tempo per essere solo con te stesso, con la natura, ti fermi quando vuoi, ascolti, respiri, immagini, ti stupisci. Scatti foto che non renderanno mai la meraviglia. Poi pensi anche che si, sarebbe bello anche se tutto ciò fosse condiviso con un amico. A volte non vuoi essere solo. "Happiness only real when shared", cioè la felicità è autentica solo se condivisa (Into the wild).
Arrivo al rifugio in anticipo rispetto ai tempi previsti dalle cartine, non avevo intenzione di mangiare, ma cambio subito idea quando vedo un piatto di zuppa. Ma ecco l'ennesima sorpresa... "Professore!" Si, è proprio lui, Jordi, seduto al tavolo che termina il suo pranzo. Mi saluta, contento anche lui di rivedermi, mi dice che il paesaggio è stupendo e che ha visto un sacco di passerotti! Non so perchè ma aveva la fissa per gli uccelli... Mentre mangio lui mi saluta, come sempre, per andare incontro alla sua immancabile siesta. Per me invece, dopo essermi rovinato la zuppa con una specie di immangiabile riso freddo semiaffogato nel latte, mi avvio verso il fronte del ghiacciaio che raggiungo in dieci minuti. Cerco di raggiungere il punto più vicino per fare la foto, e quando salgo una decina di metri di rocce ecco l'inaspettato, quello che ti fa dire "o cazz!", un enorme isola di ghiaccio che vaga nel lago, un iceberg bianco e azzurro alla deriva.

Tutto questo avviene in uno scenario isolato, lontano centinaia di chilometri dalla civiltà, qua la natura è nel pieno delle forze, acqua, ghiaccio, vento, terra. Rientro lentamente chiudendo il percorso del "trekking w". Quando arrivo al Refugio Peohè sono felice ma stanco, stanco morto. Faccio due conti e riscontro che in questi giorni, tra El Chalten e Torres del Paine, ho percorso quasi 120 chilometri. Io, lo zaino e le mie indispensabili bacchette. E ho deciso che ora sono stanco e che può bastare così.

4 dicembre, ritorno alla base
Ora, le possibilità sono due. O prendo i miei venti chili di zaino in spalla e mi incammino verso l'Hotel Torres da dove sono partito per il "w trekking" oppure prendo la scorciatoia.
Da un lato altri 15km circa di cammino che con lo zaino pieno vogliono dire almeno 7 ore di cammino. Dall'altro un comodo viaggio tra catamarano e pullman. La decisione è immediata, non mi andava di fare un faticoso percorso peraltro già fatto. Il tratto in catamarano attraverso il Lago Pehoè verso Pudeto è molto bello, la giornata è bella e ammiro lo spettacolare fronte della catena delle Torres del Paine, se fosse una città sarebbe un perfetto skyline.

Qua se la prendono tutti un po comoda, i pullman da Pudeto alla Laguna Amarga partiranno dopo due ore. La speranza di poter arrivare in tempo utile per riprovare l'escursione del primo giorno sperando nel bel tempo svanisce perchè arrivo troppo tardi e il tempo comincia a cambiare. Rimetto la speranza alla mattina successiva.
"Very nice tent, it's so little!" Ecco Richard, lui è del Minnesota ma lavora qui, in Cile, al campeggio Las Torres. Incuriosito dalla tenda e soprattutto dal mio martello con cui la assicuro a terra con i ganci. Scambiamo due simpatiche parole.
Amici al camping Las Torres

"Hello, I'm Mike, what's your name?" Avevo già iniziato la mia cena, la peggiore in assoluto per qualità del cibo, quando di fronte a me arriva lui, sui quasi cinquanta con sua figlia Glorianne, una bionda ragazzina che ha l'aria di non gradire molto quello che le hanno portato a tavola. Il primo consiste in un tentativo di "zuppa di pesce", molto acquosa, poco saporita. Glorianne assaggia un cucchiaio, smorfia e la cede volentieri a Mike. Io sorrido, soprattutto quando arriva il secondo, un coppia di carne in cartoccio, tuttora non so che tipo di carne fosse, fatto sta che era tutto tranne che buona. Glorianne la guarda soltanto, Mike l'assaggia, le smorfie si sprecano e io sorrido, anzi rido per la situazione, e Mike trova la faccia di bronzo per riportare il piatto in cucina e farsela cuocere almeno un altro po perchè semicruda. Glorianne invece torna vittoriosa dalla cucina con due mele... Loro sono di Chicago, faranno come me il "w trekking", poi lei proseguirà in autonomia incontrando amici a Valparaiso, spero che almeno lì potrà trovare buon cibo... Gli dico di me, gli racconto del percorso fatto eccetera.
"Sei italiano?" Interviene Vera, seduta di fianco a me in un gruppo di quattro persone. Avvocatessa tedesca, lavora a Londra, ma parla un po' d'italiano grazie ad uno stage fatto a Roma. E' carina, ma diventa bella quando mi racconta che, con l'amica hanno fatto l'intero circuito del Paine. E' incredibile, prima Hennieke, poi Christine, poi Vera, tre donne all'avventura, tre storie diverse unite dalla stessa passione per la natura e il viaggio. Vanno tutti via, ma io ho ancora da fare, ho infatti adocchiato una chitarra appesa al muro... Chiedo il permesso ad uno dei ragazzi del rifugio e mi ritrovo a suonare e cantare, per me e basta, in un caldo angolo della sala. Beh ho fatto anche questo!

5 dicembre, rientro in Argentina
Tiro fuori la testa dalla tenda verso le 7, ma le nuvole sono ancora la, a fare da cappello alle Torri che avrei voluto vedere limpide stamattina, non come il primo giorno. Invece no, la montagna mi risponde che anche oggi non si può. Rinuncio pertanto, ma va benissimo così. A colazione rivedo Vera con l'amica, mi dicono che loro prendono il pullman e vanno a Pudeto per fare una camminata di un'ora verso un belvedere. "Se riesco a smontare la tenda e faro la zaino in tempo vengo anch'io, altrimenti... è stato bello!" Lei mi sorride, prenderà il pullman, io no, non ci rivedremo più.
Il lento rientro in Argentina è ricco di pensieri, voglia un po di tornare a casa, e desiderio però di tornare in questi posti, da percorrere magari in auto, per fermarmi nelle estancias, nei piccoli e rari paesini attorno alle pompe di benzina lungo la Ruta 40.
Piccolo guanaco alla Laguna Amarga
DETTAGLI TECNICI

Volo
Scelgo il meno caro ovviamente, e allora American Airlines destinazione El Calafate (Argentina), con ben due scali: Miami e Buenos Aires. Trattasi, per la precisione, di 11 ore Milano-Miami, 8 ore Miami-Buenos Aires e 3 ore e mezza da Buenos Aires a El Calafate. Biglietto fatto in Agosto al costo di 1070 euro A/R. A Buenos Aires ho dovuto cambiare aeroporto, arrivo ad Ezeiza e ripartenza da Pistarini. Ad Ezeiza c'è il desk del bus Manuel Tienda Leon dove acquisto il biglietto per 95 ARS. Ci mette circa 50 minuti. 

Pernottamenti
Farò 4 notti in ostello, tutti prenotati dall'Italia, e 8 in tenda. Gli ostelli tutti molto belli, gestiti da ragazzi simpatici e molto gentili.
Una notte a El Chalten, ostello Condor de los Andes (122ARS), camera da 4px con bagno interno.
Due notti a El Calafate, ostello America del Sur (241ARS in totale), camera da 4px con bagno interno. Con questo ostello, che consiglio vivamente, ho prenotato il Bus da El Chalten a El Calafate, il minitrekking al Perito Moreno, il viaggio per le TDP (a/r). Le prenotazioni vengono fatte solo in caso di soggiorno all'ostello. Quindi ho prenotato su www.booking.com, e poi ho scritto via email all'ostello (calafate@americahostel.com.ar)
Ultima notte a El Calafate, Hosteria Los Gnomos (329ARS), camera singola con bagno.
Due notti in tenda a El Chalten, campeggi gratuiti.
Sei notti alle TDP, in campeggi tutti a pagamento tranne uno (Campamento Italiano). Gli altri 6000CHP ciascuno.

Attrezzatura tecnica
Zaino Ferrino Overland 80+10, tenda Camp minima 1, sacco a pelo ferrino lightec 600, materassino Camp da 3.5cm, 1 pantalone tecnico per il trekking e 1 pantalone in cotone, 2 pantaloncini corti, 4 magliette tecniche maniche corte, 2 maglie tecniche maniche lunghe, 1 pile, 1 piumino Selewa, 1 giacca/guscio, 5 paia di calze e mutande, guanti, cuffia con paraorecchie, asciugamano, scarpe da trekking basse, scarponi da trekking. Medicine e kit da pronto soccorso. Barrette energetiche. Lampada da tenda, lampada frontale e pile di ricambio, bottiglia da litro, fornellino, pentolino e posate, riso liofilizzato. Guida Lonely Planet, 3 cartine (Patagonia, Fitz Roy-Cerro Torre e Torres del Paine), burrocacao, crema solare, occhiali da sole.

Clima e luce
E' sempre difficile rispondere alla domanda "fa freddo?", è ovvio che dipende tutto dal grado di sopportazione del freddo che è sempre soggettivo. La mia risposta è che no, non ho sofferto il freddo. Diciamo che la sera tardi e la notte la temperatura in alcune zone era intorno ai 0-2 gradi. In tenda ho quasi sempre dormito in mutante e maglietta o al massimo con la maglia a maniche lunghe. Importante avere sempre il cappellino a portata di mano e sei a posto. Di giorno in cammino quasi sempre in pantaloncini e maglietta a maniche corte. Diciamo che si stava tra i 13 e i 20 gradi quando c'era il sole. La cosa peggiore è ovviamente il vento, fortissimo e freddo perchè viene dallo Hielo Continental. Quando soffiava ero costretto a mettere almeno la maglia tecnica e talvolta il guscio per proteggermi. Non ho mai usato il piumino e mai i guanti. La luce è tantissima, comincia a spuntare intorno alle 4-5 di mattina per finire intorno alle 23, quindi giornate lunghissime.

Difficoltà nel trekking
In generale nessuna difficoltà tecnica lungo i percorsi fatti. Si tratta di sentieri segnalati bene, ci vuole sempre la dovuta attenzione ma solo in rari tratti. Può essere faticoso se si ha uno zaino pesante (e il mio lo era). I continui sali-scendi sono un po provanti, e soprattutto il vento ha reso le cose meno facili del previsto. 

Trasferimenti, Tour e Parchi
La cosa più difficile dall'Italia è stata trovare informazioni sul web relativamente alle escursioni e ai trasferimenti. Raramente i siti mettono i prezzi, pertanto bisogna quasi sempre scrivere email.
  • Aeroporto El Calfate - El chalten: compagnia Las Lengas ( laslengaselchalten@yahoo.com.ar, http://www.transportelaslengas.com.ar/), prenotata dall'Italia e pagata in loco (220ars solo andata). Mi son trovato bene, un po di fraintendimenti con le email, parlano solo spagnolo... Comunque pare sia l'unica compagnia che conduce direttamente dall'aeroporto a El Chalten, senza passare da Calafate.
  • El Chalten - El Calafate: prenotato tramite l'ostello America del Sur, 150ars
  • Minitrekking Perito Moreno: prenotato tramite l'ostello America del Sur, 800ars che comprende il trasferimento in pullman (che fa il giro degli alberghi di Calafate), il battello e il trekking di circa un'ora e mezza. Ingresso al Parco Nazionale 130ars
  • Taxi: presi a Calafate un paio di volte, costo medio 30ARS, sono molto convenienti. Preso inoltre l'ultimo giorno per andare da Calafate in aeroporto dall'albergo. Costo 170ars, a me è capitato di andare con altri due pertanto ho pagato solo 60ars.
  • El Calafate - Torres del Paine (a/r): costo 1050ars (circa 160usd). Il collegamento tra i due siti è molto complicato se ci si affida a bus regolari. Nessuno, infatti, ha il collegamento diretto, attraverso Cerro Castillo, ma transitano tutti da Puerto Natales, con un grosso dispendio di tempo. I bus di linea infatti collegano Calafate con Puerto Natales con partenze intorno alle 8 del mattino, arrivo a PN intorno alle 13, poi si cambia bus (altra compagnia) che in 2 ore circa ti porta alle TDP. Il costo è inferiore (intorno alla metà), ma praticamente spendi un giorno in viaggio. Stessa cosa al ritorno, con i bus che partono alle 8 da Puerto Natales, significa che devi lasciare le TDP la sera prima. Io ho preferito spendere un po di più ma risparmiare moltissimo tempo. Molte compagnie private offrono infatti il tour di un giorno alle TDP (passando dal Cerro Castillo ed evitando Puerto Natales), oppure come me l'andata e il ritorno in giorni differenti. Ma anche qui ho dovuto chiedere due preventivi online prima di arrivare alla migliore offerta dall'America del sur. Due compagnie non hanno neanche voluto contrattare quando ho provato ad offrire un po di meno, si sono quasi offese! Per fortuna comunque perchè poi ho speso molto meno. Vi consiglio quindi di non contattare queste compagnie: Experience Chile (request@experiencechile.org) mi chiedevano 255usd; GL - Glacier's Land DMC (www.todocalafate.com; info@todocalafate.com) mi chiedevano 225usd
  • Ingresso al Parco Nazionale delle Torres del Paine 18000CHP. Trasferimenti dalla Laguna Amarga al camping Las Torres 2500CHP. Da Pudeto alla Laguna Amarga 2500chp. Catamarano dal Lago Pehoè a Pudeto 12000chp